sabato 24 dicembre 2011

A Natale, ogni Stanlio e Ollio vale

Come una vecchia tradizione natalizia, la televisione ci ha riportato la gioia di vedere Stanlio e Ollio all’ora di cena, con le loro comiche classiche, e di prima mattina, col panettone aperto e il latte della colazione, quel mezzo litro che ogni bambino si concede durante le vacanze invernali. E’ stato, ed è, un piccolo evento perché questo è accaduto sulle reti RAI, che con qualche sotterfugio, cioè una sigla antologica, evita noie legali (teoricamente..) e spara alle otto di sera comiche in bianco e nero, un po’ un mea culpa tardivo dopo anni e anni di copie colorizzate al computer, acquisite dal Made in USA che ha inventato la tecnica per modernizzare il film antico per le generazioni che non amano il bianco e nero, idea che ha inorridito moltissime persone quante ne ha trovate invece d’accordo. Forse non avrebbe potuto fare altrimenti, siccome quelle copie sono in mano a Mediaset, che le ha sparate sul palinsesto dandole una importanza nulla, in onda all’alba, neanche fosse una antologia di Davide Mengacci o una soap opera messicana. Ad ogni modo, Laurel e Hardy erano una bella ricorrenza classica di Natale, un po’ come il film Una poltrona per due, di John Landis, che da quanto mi possa ricordare, è sempre andato in onda la sera della vigilia, su Italia1, e questo improvviso ritorno ha scatenato la gioia degli appassionati. Ognuno ha i suoi meriti. Rai Movie, che secoli fa si chiamava Rai Sat Cinema, ha spedito alle sette del mattino i lungometraggi, con titoli che non si vedevano, in bianco e nero e sulla RAI, film come Fra Diavolo (1933), Allegri vagabondi (1937), Teste Dure (1938), Allegri Gemelli (1936), I figli del deserto (1933), tutti classici della comicità, ma anche Il grande botto, film della decadenza di L&H, del 1944, andato in onda curiosamente integrale. Tramite facebook, una valanga di persone scrivono sulla pagina di Raimovie per ringraziarli e dare qualche consiglio, fortunatamente anche di Benedetto Gemma, uno dei massimi esperti sulla coppia in Italia, che ha scritto un vangelo da far seguire alla redazione del canale Rai, che si è dimostrata, con sorpresa, molto disponibile.

La cosa che più ha sorpreso è l’incredulità del canale stesso alla scoperta di affezionati della coppia. Quando è stato il turno di Rai Tre, che quindici anni fa ci regalò un programma, Blob Soup, pieno di comiche mute, soprattutto con Laurel e Hardy, la sorpresa è stata anche maggiore. Perché non dimentichiamo che sono film vecchi anche ottant’anni, eppure nel 2011 nel pre-serale riescono a fare ascolti impensabili. E’ ovvio che il fan rompicoglioni chieda cose impossibili (ho letto una richiesta di prima serata, una bella sfida sicuro, ma gli amici della messa in onda avranno riso per ore), ma i risultati ci sono e in futuro potrebbe succedere qualsiasi cosa. La prima comica andata in onda, Un nuovo imbroglio (Another fine mess, 1930), dura quasi trenta minuti e per infilarla nel palinsesto l’hanno tagliato ad arte. Fortuna che esistono persone che cenano con il pc davanti e hanno protestato sul canale face book di Rai3. L’unica persona in Italia che vedeva Sabrina vita da strega è stato segretamente rapito e ucciso. E il giorno dopo, tutto è andato intero, salvo ovviamente i titoli di testa e coda saltati perché esiste una sigla del contenitore. E i dati auditel sono alti, nella media di un film del genere e di un pre serale:

20 dicembre. Un nuovo imbroglio. 1.467.000 telespettatori, share 5,78%
21 dicembre. La bugia. 1.703.000 telespettatori, share 6,51%

22 dicembre. Pugno di ferro. 1.367.000 telespettatori, share 5,47%.

23 dicembre. Sotto Zero. 1.630.000 telespettatori, share 6,52%


Ora lunedì 26 dicembre continua la serie Per ridere insieme con Stanlio e Ollio. Questi i titoli, salvo cambiamenti di palinsesto:

26/12. La sbornia (Stanlio e Ollio si rifugiano in un locale per bere di nascosto una bottiglia di liquore, ignari che la moglie di Stan ha sostituito il contenuto con degli intrugli e con del tè. Questa comica è stata doppiata sulla copia inglese, e non americana, tagliata per la televisione, motivi di censura..Quindi rispetto alla copia originale dura dieci minuti in meno).
27/12. I monelli (un classico, L&H hanno dei figli identici a loro)
28/12. Lavori in corso (L&H falegnami, capolavoro slapstick)
29/12. Polli tornate a casa (questo dura trenta minuti: Ollio viene ricattato da una vecchia fiamma durante le elezioni da Sindaco al quale concorre; toccherà a Stanlio di risolvere la faccenda).
30/12. Un salvataggio pericoloso (usciti per comprare un gelato, Stanlio e Ollio salvano dal suicidio una donna che farà le bizze e si installa in casa loro, di nascosto alle mogli).

venerdì 23 dicembre 2011

Sherlock Holmes - un gioco di ombre

Difficilmente ricordo un sequel così atteso e fortemente voluto dai fan, curiosamente non da quelli del personaggio originale, Sherlock Holmes, che più di una volta avevano educatamente, direi elegantemente protestato, gridato alla lesa maestà per la lettura moderna dell’investigatore più famoso della letteratura inglese. Holmes è uno di quei personaggi di fantasia, come Gesù, che hanno ispirato moltissime versioni cinematografiche. Ok questa frase a due giorni dal Natale non è carina. Mi scuso con Holmes. Ma è così, oggetto di parodie, sottoversioni, mancava la rilettura pulp per opera di Guy Ritchie, che nonostante Ciak continui a scriverlo, non è ricordato perché marito di Madonna. Ma è il regista di Lock & Stock, pazzi scatenati, gioiellino comico/thiller del 1999, di Revolver, RocknRolla e soprattutto del campione Sherlock Holmes, che ha fatto sfracelli al box office 2009/2010 con 523 milioni di dollari in tutto il mondo. Ad interpretare Holmes, il bravissimo Robert Downey Jr, da diversi anni ormai uno degli attori più richiesti di Hollywood, scelta azzeccata, per ironia e la giusta ambiguità di questa nuova visione dell’investigatore inglese, fedele al personaggio con il suo vizio delle droghe, ma trasformatosi in un fine conoscitore delle arti marziali, un po’ puttaniere, legatissimo al suo dottor Watson, altra scelta azzeccata, Jude Law, dottore in odore di matrimonio sempre rinviato perché non riesce a farne a meno del suo amico, al quale si rivolge con distacco ma che non designa nel dargli un cazzotto se necessario. La particolarità del film stava nelle scelte di regia, che raccontava le azioni con dei rallentamenti ad alta definizione, infilando momenti di humor a volte british, a volte ruspante, americano. La miscea piacque moltissimo, e nel finale una finestra sul sequel non poteva non essere negata. E così è stato il 16 dicembre con Sherlock Holmes, gioco di ombre, ottenendo un buon successo di critica in Patria e, cifre dei primi incassi alla mano, una risposta del pubblico quasi scontata. Negli USA la partenza è stata minore, ma ha guadagnato 64 milioni di dollari in due giorni. In Italia è diventato un caso perché ha stracciato la partenza, solitamente trionfante, del tradizionale cinepattone, Vacanze in Cortina, tanto che si è parlato con troppa fretta di fine di una era (aspettate le cifre poco prima di capodanno) e tutti sono andati in massa a vedere il nuovo Holmes. Del tonfo di De Sica se ne parlerà un’altra volta, sottolineo però di come nessuno si è preoccupato di scrivere che a perdere quest’anno è stato Boldi, che ha incassato la metà rispetto agli altri anni, 4 milioni di euro, forse perché prima lui e ora De Sica hanno logorato una formula morta anni e anni fa.
Holmes, il seguito, dicevo. Rispetto al primo film, il soggetto si ispira decisamente ad un racconto di Arthur Conan Doyle (chi è? L’autore!), L’ultima avventura, uscito nel 1893 e che appunto vedeva la fine del personaggio. Proprio per questo, il film questa volta ha più analisi del caso, porta lo spettatore a fidarsi cecamente di ciò che dice Holmes nei suoi pensieri investigativi, sempre più complicati, fino a quando un punto di raccordo ecco che riporta tutti ad aver capito cosa diamine stia succedendo nel film. C’è interesse, stavolta, nella storia, che nei personaggi, almeno nella seconda parte (due ore di proiezione), con una dose abbondante di humor, anzi di vera comicità in un paio di scene, e una serie di scene d’azione non fine a se stesse, anche se l’uso frequente del rallenti non sempre giova al ritmo. Ma, sta di fatto, che questo seguito è un grande film. Incolla lo spettatore a seguire il giallo, ridere dei personaggi, incluso il fratello di Holmes, Mycroft, interpretato dal comico inglese Stephen Fry, ad emozionarsi per le prime evoluzioni delle armi di guerra, dando un messaggio non banale sulle tensioni internazionali (la storia è ambientata nel 1891, mancano tredici anni alla Prima Guerra Mondiale), e con esplosioni e geniali sorprese (pure troppe) ogni volta che chi chiediamo, e ora come ne escono?
Inutile dirvi la trama, la sapete già. Entra in gioco il più grande nemico di Sherlock Holmes, il Professor Moriarty (interpretato da Jared Harris), che prendendosi il mercato delle armi vuole scatenare una guerra mondiale. Riuscirà Holmes a sopportare Moriarty con la voce di Pino Insegno?

martedì 20 dicembre 2011

I pinguini di Jim Carrey

Mentre esce in questi giorni il dvd e il blu-ray del film "Mr. Popper e i suoi Pinguini", è notizia che Jim Carrey prenderà parte al film Burt Wonderstone, diretto da Don Scardino, nome proveniente dai telefilm dove è regista e produttore (30 Rock, Law & Order, Ed), e con Steve Carell, protagonista del film, ancora in fase di sceneggiatura e casting (arruolati Brad Garrett della serie tv “Tutti amano Raymond”, poi Olivia Wilde, Steve Buscemi e James Gandolfini). Carell e Carrey si ritrovano così sullo stesso set dai tempi de “Una settimana da Dio”, del 2003, nelle vesti di due maghi rivali di Las Vegas; le riprese cominceranno a gennaio 2012. All’inizio di un nuovo decennio, Carrey potrebbe tornare ai grandi ruoli cui ci aveva abituato almeno fino a Se mi lasci ti cancello (scemo titolo italiano di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, 2004), cui seguirono una serie di film non proprio riusciti, un po’ per le trame complicate e un genere inedito per lui, come accadde per The Number 23 (2007), o per poca originalità, nonostante l’innegabile divertimento, vedere per esempio Dick e Jane, operazione furto (2005) e soprattutto Yes Man (2008), che ha avuto un discreto successo per quanto a molti è sembrato una rielaborazione di Bugiardo, bugiardo (1997) – lì non riusciva a mentire, mentre in quest’altro poteva dire solamente sì. Come star di Hollywood è sicuramente tra le più quotate e libere di scelte personali, gettandosi in sfide davvero impensabili, come il ruolo del gay truffatore incallito, interpretato nel contestato, sfortunato e male distribuito in Italia Colpo di fulmine (titolo originale? I love you Phillip Morris, 2009), praticamente poco visto ovunque e neanche tanto necessario di una rivalutazione futura, con una trama poco convincente, Carrey senza freno e misura, aggiungi doppiaggio da querela, poco riuscita fusione di commedia e dramma. Unica valida eccezione, A Christmas Carol, grande film del Natale 2009, realizzato con tecnica mista di animazione, dove Carrey ha sette ruoli. Avvolto nella melassa dei buoni sentimenti, si convince di essere l’erede del Dean Jones disneyano, e gira I pinguini di Mr. Popper, doccia di miele piena di gag di pinguini scorreggioni (è così..), famiglie divise che si riuniscono, lui sempre al telefono, business man, in case di lusso..Ha pure incassato qualcosa nel mondo eh, 187 milioni di dollari, ma in casa il successo è stato tiepido. Non che sia l’obbiettivo principale di ogni attore di Hollywood, a Carrey interessa, da quanto ho capito dalle sue scelte di copione, fare un film di qualità. Speriamo che il prossimo lo riporti alle vette comiche e brillanti, quelle sue sfumature folli che abbiamo adorato, io per primo.

domenica 18 dicembre 2011

L'Esorciccio, dvd sbagliato

"È l'aglio di Ciccio che ti espelle! È il peperone di Satanetto che ti espelle! Tu sei colpevole di aver lanciato a Satanetto caciotta e ricotta, e verrai punita di colui che verrà a giudicare i buoni e i gran figli di mignotta!"

Quando una certa demenza produttiva e creativa si uniscono in un cast assolutamente sbagliato, una storia sconclusionata, una realizzazione povera, si ha un film che si definisce “stracult”. Cioè, più è brutto, più è stracult, cioè da avere, rivedere, sghignazzarci sopra, parlarne bene nonostante appunto è sì è un cult, ma anche piuttosto brutto. Visti col senno di poi e dopo tanti anni, i fan hanno apprezzato la follia inconsapevole e deriso alcune pretese d’autore, tanto da tirare dal nulla e dal riposo del flop assoluto alcuni titoli davvero allucinanti, che possano essere le sexy commedie italiane degli anni Settanta o i terribili “kolossal” di Renzo Martinelli o gli ultimi film di Zeffirelli e di Lina Wertmüller, i film dei Vanzina, Bombolo, e in questo contesto non possono mancare i film di Franco e Ciccio, con quei titoli così folli, le pellicole scadute, fatti con due lire, tutte smorfie, ma poi, diciamoci la verità, se passano in tv non cambiate canale no? E’ il brutto che attira. Sicuramente tra i più stracult e credo più allucinanti film mai fatti è L’Esorciccio, seconda ed ultima regia di Ciccio Ingrassia, senza Franco Franchi, uscito nel 1975 con qualche successo.. Insomma, come parodia de “L’Esorcista” (1973) lasciava a desiderare, sia perché era girato con due lire davvero (gli interni sono stati fatti nella villa di Ciccio!), girato alla meno peggio (chi non ricorda l’errore di continuità al passaggio a livello – dove passano i pedoni anziché i treni – dove prima appare una Fiat 1500 che diventa una Lancia Fulvia mentre il passaggio a livello resta chiuso, per poi ridiventare il modello Fiat alla riapertura dello stesso), scritto senza inventiva (sembra in gran parte improvvisato), recitato come uno sketch d’avanspettacolo (Lino Banfi se la cava, ma Ubaldo Lay, che interpreta il Tenente Sheridan che faceva nei caroselli, sembra capitato per caso), effetti speciali assurdi, che forse avrebbero reso meglio nelle parodie interpretate da Gianni e Pinotto, ma, c’è un ma, alla fine tutti l’hanno visto, si fa vedere senza noia, c’è un certo ritmo e si sopportano gli stacchi fatti con l’ascia, nella copia sbiadita presa da qualche terza visione, da sembrare accorciata, per giunta ingrandita e quindi tagliata nel passaggio, assurdo, del quadro in 4/3 in 16/9, nel DVD uscito per Medusa; se non fosse che è l’unico modo per averlo a casa, sarebbe da evitare assolutamente.
L’Esorciccio però aveva delle cose buone, e chi scrive ha assurdamente visto prima questa parodia e poi, al cinema, nel 2000, il vero Esorcista, apprezzando i collegamenti che Ciccio aveva infilato nel suo film. Faceva davvero ridere la scena della festa in casa del Sindaco, con l’ospite che dava del nazista all’amico tedesco, proprio come accadeva nel film americano (“Io sono svizzero!”, si difendeva il dottore, interpretato dal buon Gigi Bonos, caratterista visto nei film di Bud Spencer e Terence Hill).
Sì, erano piuttosto patetici i tentativi di esorcismo con la recita “Aglio, olio e peperoncino, esci da questo lettino!”, ma Banfi che passa una notte d’inferno con il barbuto nel frigo, o il loro viaggio dall’Esorciccio, con le assurde indicazioni stradali (“Attenzione Rapina in corso”, o “Caduta Matti”, con Jimmy il Fenomeno che rotola dalle colline) fanno ridere. Per non parlare di Salvatore Baccaro in vesti femminili..O almeno, un motivo perché il film piace oggi ci sarà. Girato da Ingrassia nel periodo di litigio con Franchi, lancia all’ex partner una frecciata piuttosto acida, lanciando fuori dalla finestra un imitatore che, cercando di convincerlo delle sue abilità, ad un certo punto gli fa Franco Franchi.. Era in effetti la specialità di questo bravo imitatore, il cui nome lo ha rilevato il sito “Davinotti”: Ciccio Pasticcio, al secolo Andrea Maugeri, catanese di nascita che tra l’inizio degli anni Settanta per un decennio ha pubblicato qualcosa come dodici LP 45 giri di sue canzoni e imitazioni, tra cui ovviamente quella di Franco Franchi.. A proposito di canzoni, tanto vale ricordare le allucinanti due canzoni scritte apposta per il film? Se siete fortunati trovate anche il disco che contiene la canzone cantata da Ciccio Ingrassia e quella che canta Banfi quando è indemoniato, intitolata Sciamanin Rock (in pugliese Andiamocene Rock) autori Godi-Banfi.

giovedì 15 dicembre 2011

A colazione da Edwards

Oggi è un anno che il grande Edwards ci ha lasciati. Ripropongo un mio articolo scritto il giorno dopo la sua morte. Così, giusto per non fare niente di originale.

E’ inevitabile, all’alba del 2011, che tutti i grandi vecchi del cinema, cominciano a sparire. L’età bussa, la salute saluta, e sopravvivono cretini come me che scrivono queste introduzioni banali. Ma la morte di Blake Edwards, avvenuta ieri all’età di 88 anni, ti coglie impreparato su diversi punti di vista. E’ stato uno dei migliori registi di commedie succeduti al grande Billy Wilder, e forse uno dei più intelligenti di sempre, per l’acutezza e il genio di rappresentazione. Il suo intuito comico andava ben oltre alla ripresa della gag classica – lui andava matto per Stanlio e Ollio - , dava al ritmo una velocità sostenuta per poi impennare diverse volte. Basta vedere Hollywood Party (1968), oggi, nei ritmi veloci ai quali siamo abituati per rimanere incantati – e divertititi – alla lenta ed efficace distruzione del set, della serata, della villa, dove si svolge appunto la festa del titolo. Era intelligente, collerico, distaccato dal mondo delle star, ha sempre puntato contro il dito Hollywood e le sue manie di grandezza, con una certa satira non nascosta. Rimane sempre valido l’esempio di S.O.B. (1981), storia di un produttore in crisi che decide di far spogliare la sua attrice per motivi di “cassetta”, vera frecciata interpretata da Julie Andrews (eh sì, Mary Poppins, tra l’altro moglie nella vita di Edwards) e William Holden. Attori appunto, e Blake non può essere citato senza ricordare Peter Sellers, che insieme crearono il personaggio dell’imbranato, ottuso e combina guai Ispettore Jacques Clouseau della fortunatissima serie La Pantera Rosa, cominciata nel 1963 e conclusa – un po’ male – da Benigni nel 1993 (e ripresa – con disapprovazione dello stesso Edwards – da Steve Martin nel 2006). Edwards e Sellers erano amici, uniti dalla loro passione per le vecchie comiche e per Laurel e Hardy, e sul set andavano d’accordo. Ma allo stesso tempo si odiavano, si mandavano telegrammi di vaffanculo (è così…), si separarono e si riunirono anni dopo, in un bisogno comune di successo, per ripescare Clouseau sicuro richiamo per il pubblico. Peter è stato uno dei grandi enigmi di Edwards. Secondo lui, ha vissuto gran parte della sua vita all’inferno, in momenti pericolosi di divertimento e depressione, lui che era così geniale come comico ha vissuto con una insicurezza devastante portandosi alla fine trent’anni fa, svuotando il panorama dei comici e lasciandoci in silenzio senza le sue incredibili voci. Blake sa che Peter è un genio, ma è difficile lavorarci. Hanno realizzato però alcune delle cose più divertenti in assoluto, tanto che alla notizia della morte tutti lo hanno ricordato come il regista de La pantera rosa. Ma non è stato solo quello. Ottimo regista di commedie, come il famoso Colazione da Tiffany (1961), con Audrey Hepburn, e dell’omaggio alle comiche classiche interpretato da Jack Lemmon, Tony Curtis e Natalie Wood, La Grande Corsa (1965), ha diretto anche film drammatici molto intensi, come Il giorno del vino e delle rose (1963), dove Lemmon recita il ruolo di un marito alcolizzato, oppure il film poliziesco tratto dalla serie di Peter Gunn (1967), il film western Uomini selvaggi (1971), fino agli ultimi successi, come 10 (1979), Victor Victoria (1982), io personalmente ricordo Nei panni di una bionda (1991), dove Ellen Barkin era bravissima nel provare disagio del proprio corpo, che tanto mi aveva divertito da bambino. Disgustato dall’ambiente, aveva girato l’ultimo film nel 1993. Nel 2004, aveva ricevuto un premio Oscar alla carriera, che accettò evitando di menzionare Sellers nel suo discorso. Accettò l’oscar come meglio preferiva: fingendosi ingessato alla gamba, piombava sul palco in sella ad una carrozzina impazzita, sfiorando Jim Carrey – che tanto ammirava – e finendo addosso ad una parete, distruggendola. Era una gag classica, di quelle che Edwards amava sin da bambino. La sua lezione è sempre quella.

martedì 13 dicembre 2011

85 volte magnifico Jerry


Oggi Dick Van Dyke compie 86 anni. E' infatti nato il 13 dicembre 1925. Ora che ho dimostrato di saper fare i conti, passiamo ad altro. Jerry Lewis. Questo che segue è infatti un articolo su Jerry che di anni, lo scorso marzo, ne ha fatti ben 85.

Lo abbiamo venerato, studiato, adorato. E’ l’ultima colonna della grande Stagione del Cinema Hollywoodiano, non solo nel genere comico, ma di tutta una epoca ormai lontana e soprattutto estinta: perché, non volendo, si muore, e fra tutti i pochi sopravvissuti, Jerry Lewis, che compie oggi il traguardo delle 85 candeline, è quello che ricordiamo senza troppi sforzi. Il più famoso, diciamo. E’ stato forse il migliore? Indubbiamente, Jerry Lewis è stato uno dei registi e attori comici che hanno maggiormente influito l’evoluzione della gag e del classico registro comico dello slapstick, ben dopo la lezione di Stanlio e Ollio e dei fratelli Marx. Sulla tradizione comica ebrea, Jerry interpretava il bravo ragazzo dalle buone intenzioni che creava solo guai terrificanti. Gli eventi si ritorcevano contro chi gli stava accanto. La catastrofe incombeva sugli oggetti senza una logica? Affatto, Jerry regista controllava le gag di Jerry attore con una perfezione forse troppo meccanica, ma con effetti irresistibili: fu lui a inventare e sperimentare il monitor che sul set gli avrebbe permesso la visione immediata di una ripresa, senza aspettare la stampa per la proiezione giornaliera. La messa in scena era quella della distruzione. Per questo, Jerry si trovò benissimo con due registi provenienti dalla comica di due rulli, George Marshall, che ebbe i suoi natali registici con Laurel e Hardy, e Frank Tashlin, proveniente dai cartoon della Warnes Bros e dalla Disney. Andiamo con ordine in questa orgia di complimenti. Lewis è stato anzitutto – a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta – il maggiore comico degli Stati Uniti. Figlio d’arte (papà fantasista e cantante e mamma musicista), vero nome Joseph Levitch e nato nel New Jersey il 16 marzo 1926, dopo una serie di mestieri umili, dal fattorino al cameriere, decise di sfruttare il suo corpo snodato e la sua faccia clownesca trascinandosi nei cabaret senza convincere il pubblico, per quanto il suo folle playback su ballate d’epoca deve essere stata una novità inusuale; all’età di venti anni conobbe un cantante di buone speranze di origine italiana, Dino Crocetti, poi noto col nome d’arte di Dean Martin (1917-1995).
Fra i due scatta la scintilla, l’affiatamento, trovando la giusta miscela del belloccio cantante e la scimmia che lo disturba: nasce la coppia Martin & Lewis, dopo quella di Stanlio e Ollio una delle più importanti e, soprattutto, ricche al botteghino. La Paramount li adotta e fa fortuna: sedici film, dal 1949 al 1956, che non incasseranno mai meno di tre milioni di dollari. I vertici al box office, in bella compagnia di trasmissioni radiofoniche e televisive, tour teatrali, presero la tremarella quando le ambizioni diverse di Jerry e Dean, e soprattutto le preferenze del pubblico più giovane, resero chiaro un divorzio imminente. Motivi vari: le risate maggiori arrivavano dirette alla Scimmia, la critica accentuava questa differenza di ruoli, spesso decisi in fase di sceneggiatura dal produttore Hal B. Wallis, zero entusiasmo e scarso senso della gag comica, e il ruolo di Dean stava cominciando ad essere troppo stretto più che marginale. Da una parte Jerry cercava di venirgli incontro, da un’altra, ben più accesa, si costruiva i ruoli e imparava il mestiere del regista e del montaggio: infilando il naso ovunque, Jerry involontariamente trascurò Dean. I rapporti diventarono tesi. Sul set a malapena si rivolgevano la parola. Quando Dean rifiutò un ruolo di un film imminente da girare, la rottura divenne definitiva. Dolorosa, ma necessaria. E Jerry si avviò in una carriera solista di grande successo. Troppo egocentrico per dividere ancora lo schermo. Meglio alternare le storie d’amore, rimettendo un po’ il ritmo a tempi più lenti. Dietro l’angolo, Jerry poteva distruggere un albergo, un ospedale o un supermercato. Faceva lo scemo tenerone. All’apice del successo, la stella di Jerry cominciò a calare. Forse, aveva smascherato un po’ troppo il mito del successo, di Hollywood, dei meccanismi comici, della stessa società americana frenetica e ipocrita. Un po’ come stava facendo Jacques Tati, come avevano fatto Laurel e Hardy: dietro le risate, una implacabile satira sociale. E la verità piace sempre poco agli Americani. La Scimmia si faceva volere bene per le attività di beneficenza. Avvia il “Telethon” nel 1966. Ma le sue regie piacciono sempre poco. In Europa almeno gode di una certa considerazione, la Francia soprattutto lo prende in seria considerazione e lo elogia fra i grandi artisti. I noleggi però sono quelli che importano. Inciampa in qualche insuccesso e dopo aver tentato di distribuire – senza riuscirsi – una commedia ambientata in un campo di concentramento (The Day the Clown Cried, 1972), si ritira e si dedica all’insegnamento della regia all’UCLA. Una trionfale tournée parigina lo convince a debuttare a Broadway, ma senza successo. Inizia un inesorabile declino fisico: tutte quelle cadute costano molto, e la lista dei malanni è piuttosto lunga.
Un infarto lo blocca durante le riprese de Il Cenerentolo (1959), lo sorprende una frattura al cranio durante uno show televisivo nel 1965, subisce una operazione a cuore aperto nel 1982, vittima del percodan tenta anche il suicidio, ma la forza e la volontà di esibirsi, pari ad una droga necessaria, lo fa continuare. Nel 1979 torna sul set, ha fortuna più in Europa che in America, dove comunque Martin Scorsese lo prende come gloria della vecchia Hollywood e lo mette accanto a quella nuova, che si chiama Robert De Niro, che fa il fan che vorrebbe fare il grande comico, rapisce il suo idolo e chiede come riscatto una serata in prima tv. Il film si chiama The King of Comedy (1983), titolo italiano Re per una notte, film che meglio descrive la follia del mito del successo. Zitto e immobile, Jerry regalerà una interpretazione brusca e solitaria, ma azzeccata. La carriera del grande Jerry, ancora oggi attivo sui palcoscenici di Las Vegas, può fermarsi qui, all’apice di una vita travagliata, sofferta, ma solo come a Hollywood riescono a fare. Il picchiatello, la Scimmia, bravo dietro la macchina da presa, è ben lontano dal Dottor Jerryll, ma l’umanità del grande comico è ben viva degli spettatori. Nel maggio del 2004, venne all’ospedale Gemelli di Roma per una conferenza sul dolore, lui che è esperto e promotore da molti anni. Con lo spirito sempre picchiatello, accolto dagli applausi abbracciò la folla e qualche infermiera dicendo in italiano “Ciao, adesso posso andare a mangiare la pasta?” Non persi l’occasione e andai anche io. Mi fece impressione per l’altezza e per averlo visto così gonfio, eppure negli occhi c’era ancora la forza espressiva di sempre. Feci fatica ma riuscii a stringergli la mano. Vide la mia facciona sorridente e mi fece il verso. Ero molto emozionato, era comunque un mito che avevo davanti, e sperando che mi sentisse gridai, “I’m very glad to meet you, Mr. Lewis”, e lui “Ti aspettavo, Signore!”. Per quanto possa essere strano scriverlo, questo è il mio ricordo personale di Jerry Lewis.
Tanti auguri, Jerry.

Addio a Mauro Zambuto

Come le vecchie glorie dello spettacolo che non danno più notizie di sé, per quanto lui non ne ha mai fatto parte davvero nonostante una parentesi in gioventù, ecco che la notizia della sua scomparsa arriva in ritardo e in quasi assoluto silenzio, se non fosse per un suo amico che ha voluto annunciare la triste notizia nella pagina di facebook a lui dedicata, di nome Mace Perlman. Mauro Zambuto, voce italiana di Stan Laurel, è deceduto il 1 settembre scorso all’età di 93 anni, nella sua casa di Sarasota, Florida, rispondendo così alla domanda che molti fan si erano posti specie dopo l’esclusiva intervista che aveva concesso, nel 2000, ad Antonio Costa Barbé, con il quale aveva rievocato la sua carriera di doppiatore, già raccontata da Giancarlo Governi nel suo “Due teste senza cervello”, datato 1985. E’ una triste notizia davvero, soprattutto per aver scoperto solo oggi dov’era finito – è il caso di dirlo – subito dopo la morte della moglie avvenuta diversi anni fa e al seguito del quale si era trasferito senza dare più notizie di sé. Di sicuro Zambuto ha avuto una vita molto interessante: figlio del regista e attore Gero Zambuto (colui che firmò il primo film di Totò, “Fermo con le mani”), Mauro, nato a Torino nel 1918, venne notato da alcuni dirigenti della Paramount per la sua dimestichezza con la lingua inglese e, giovanissimo, cominciò a prestare la voce a Mickey Rooney. E’ alla fine del 1933 che viene scelto come voce di Stan Laurel, che all’epoca stava spopolando in Italia con il film “Fra Diavolo”. Lucido era il ricordo di quando si decise di doppiare Stanlio e Ollio con quell’accento esotico, che tanto era piaciuto, nonostante fosse un errore di pronuncia da parte dei due attori, quando girarono i due film in lingua italiana (escamotage ai tempi quando il doppiaggio non era stato ancora inventato), “Ladroni” (NIGHT OWLS, 1930) e “Muraglie” (PARDON US, 1931).
Zambuto riprese la voce di Stanlio, affidata in seguito a Derek Fortrose Allen, che faceva coppia con Paolo Canali, il quale fece coppia col successore di Allen, tale Carlo Cassola, quando nel 1938 la situazione internazionale era incandescente. Le leggi razziali imposero muri ai confini e la famosa e triste legge del “Monopolio”, che controllava l’importazione di film esteri a sfavore del cinema di Hollywood (tasse del doppiaggio altissime e…conseguente boicottaggio del cinema americano), lasciò che alcuni titoli della MGM entrassero nelle nostre sale mentre era in corso un importante riorganizzazione. La Metro bloccò l’importazione nel 1939, ma giusto in tempo per trovare due nuovi voci di Stanlio e Ollio, perché Cassola e Canali hanno preferito tornare ai loro studi universitari. Zambuto viene richiamato per fare coppia con un giovanissimo Alberto Sordi, classe 1920 e aspirante attore. Non si hanno fonti certe con quale film iniziarono, ma Sordi sfruttò il successo della voce debuttando nell’avanspettacolo. Un successo che riesplose, dopo diversi anni senza Crick e Crock nelle sale italiane, con “I diavoli volanti” (1939), film americano che entra in Italia perché, essendo prodotto da un indipendente della RKO, è acquistato dalla Europa Films, società con a capo Vittorio Mussolini. Sordi e Zambuto doppiano il film alla fine del 1941, e Alberto aggiunge un tocco personale doppiando la canzone “A zonzo” che viene modificata apposta per il film. Oggi chi è che non ricorda quella canzone, alla fine?
Quando il blocco ministeriale cade con la fine della guerra, una valanga di film americani, tra cui i nostri Stanlio e Ollio, invadono le sale italiane. Dal 1946 al 1951, anno del loro ultimo film, “Atollo K”, Sordi e Zambuto prestano le voci senza fermarsi, lo stesso professore aveva ricordato a Barbé che il doppiaggio del film “Noi siamo le colonne” (1940) era stato fatto in 24 ore consecutive! (ed esiste persino un breve filmato promozionale dove i due, giovanissimi, doppiano in diretta Laurel e Hardy). Finita l’era della coppia, e continuando ognuno la propria carriera, Alberto Sordi e Mauro Zambuto lasciano il doppiaggio di Stanlio e Ollio. La carriera di Sordi la conosciamo tutti. Per sapere quella di Zambuto, devo ricorrere a wikipedia:

“Nel 1952 si trasferì negli Stati Uniti, dove ricoprì la carica di vice presidente della società Italian Film Export, costituita per doppiare in inglese i film italiani esportati negli USA e successivamente lavorò presso gli studi della Paramount ad Hollywood. Nel 1962 decise di ritirarsi dal mondo del cinema per dedicarsi alla ricerca scientifica ed all'insegnamento, accettando l'incarico di docente di ingegneria elettronica e dei computer presso il New Jersey Institute of Technology, di cui divenne professore emerito”.


La sua natura enciclopedica era ricordata dal divertito Sordi che rievocava Zambuto soffermarsi al leggio, durante le loro sedute di doppiaggio. “Che stai a fa’”, gli chiedeva, e lui, “Mah, sto facendo una traduzione in arabo!”, al che Sordi ridendo gli dava un colpetto, “Mi prendi in giro, o mi vuoi umiliare?”. No no, lui la stava facendo davvero in arabo. Ingegnere elettronico, fu un pioniere della televisione a colori.
Quando nel 1984 Giancarlo Governi lo andò a trovare all’università, egli chiese la gentilezza di evitare di chiedergli di fare la voce di Stanlio, ma Governi non resistette e alla fine Zambuto fece un pezzo dal “Fra Diavolo”, dove Stanlio è costretto dal bandito ad impiccare Ollio. Con perfetta memoria e timbro quasi uguale (l’età passa per tutti), Zambuto riprese l’anello in un momento davvero emozionante. Non a caso, le voci di Sordi e Zambuto per Stanlio e Ollio sono state definite dai fan stessi della coppia le migliori mai avute, per bravura e voce stessa. Erano perfetti. Se dall’originale il risultato è opposto (Stan non aveva la voce piagnucolosa e il timbro in falsetto, Oliver non era un basso, ma un tenore), le voci si calavano perfettamente. Il professor Zambuto, forse spinto dalla nostalgia che Governi provocò con la sua bellissima intervista, nel 1987 andò a trovare il suo vecchio compagno di doppiaggio, piombando in mezzo alla conferenza stampa di News York dove Alberto Sordi presenziava ad una rassegna sui suoi film. L’incontro, documentato dalle telecamere, è davvero divertente, con Sordi sorpreso di vederlo ma subito pronto per rievocare le voci. “Se torni sulla terra procurarti di tornare meno stupìdo di questo momento”, e Zambuto, “Io non posso non essere stupìdo”, e giù risate del pubblico accorso. Il doppiaggio proverbiale di Stanlio e Ollio, perfezionato dal grande Sordi in coppia con il professor Zambuto, è una delle testimonianze più preziose, e divertenti, che il doppiaggio italiano ci ha regalato, ai posteri, per le risate e per le nostre orecchie.

Monty Python - l'autobiografia!

Nella grande attesa che si era creata quando parecchi mesi fa ormai la Sagoma Editore, che sta diventando un appuntamento fisso per il mio bancomat, annunciò la pubblicazione, non nascondo di aver temuto una delusione il giorno che la mia copia dell’autobiografia dei Monty Python è arrivata tra le mie mani. Perché a volte va così, le cose che si desiderano tanto quando si ottengono c’è un afflosciamento nell’entusiasmo pari ai vari tentativi che il mio amico Mario fa quando è in cucina e promette robe da novelle cousiné. Adesso che è uscita e tutti ne parlano, tanto che manca solo il dirigibile della Good-Year per pubblicizzarlo, posso solo dire che vale la pena comprarlo, divorarlo e, soprattutto come deve sempre succedere con un testo del genere, riaccendere l’entusiasmo per rivedere le opere. Quello che è successo con i Python: risucchiato il testo in due soli giorni, ho dovuto gioco forza rivedermi almeno le prime due serie del Flying Circus, i primi due film, molti extra - capitassero spesso di forzature del genere! Lo scopo è raggiunto. Sei cervelli, dodici mani, tutti laureati, quattro inglesi e due intrusi uno americano e l’altro gallese, tutti vivi tranne uno, che si ostina ad essere morto dal 1989, terremoto comico intellettuale che rivoluzionò la comicità alla fine degli anni Sessanta nella nebbiosa BBC, quattro serie davvero memorabili per 45 episodi totali, e i loro pochi ma incisivi film, feroci satire dei gruppi con una sola idea, religiosi o no che fossero, riflessioni tragicomiche, grottesche sul ruolo della vita, della morte, satira geniale e ancora divertentissima, capaci di smuovere vecchi bacucchi con cartelli, suore che sbraitano alla blasfemia, fino alla fine, con i capezzoli a Cannes e le loro divertenti riunioni con i capelli bianchi, come quando rovesciarono le ceneri dell’inglese con la pipa. I Monty Python sono stati innovatori nel comico come i Beatles lo furono nella musica, non ci piove. Piacevano a molti, ancora oggi hanno milioni di fan, anche in Italia, dove alla fine sono stati distribuiti piuttosto male, se ci pensate. Hanno fatto di tutto per rovinarli, perché non sono stati capiti, anche perché sono davvero poche le pubblicazioni italiane dedicate ai Python, anzi..due, il libro di Francesco Alò, davvero fatto bene, e appunto questa autobiografia, alcolica, divertente e intelligente.. Le date ci aiutano in questo: la loro serie tv è stata completamente ignorata all’epoca dalla RAI (e figurati), rendendo inutile l’uscita del loro primo film, “E ora qualcosa di completamente diverso”, del 1971 e che era appunto una antologia del loro programma; il film successivo, “Monty Python and the Holy Grail”, 1974, è stato il primo ad essere distribuito, ribattezzato semplicemente “Monty Python” nel maggio 1976 e con un doppiaggio semplicemente indecente, che ricorre ai dialetti nostrani e discutibilissimi invenzioni comiche, tutta opera del “grande” Oreste Lionello (sì, con le virgolette, mi volete ancora bene?), ma comunque con un discreto successo. Neanche a parlarne con il discusso “Life of Brian” (1979), bandito in alcuni paesi, esce in America e poi, mossa davvero astuta, in Inghilterra con violente polemiche di blasfemia (solita storia, non vedono il film ma solo perché lo dicono le organizzazioni religiose e sulla corretta moralità, tutti con i cartelli a boicottare davanti le sale), e con una Chiesa così presente in Italia (è a Roma, sapete) neanche viene presentato in commissione censura: nessun distributore si azzarda. Esce però “Monty Python e il Senso della Vita” (1983), ha un ottimo successo e curiosamente proprio quando il gruppo decide di sciogliersi. E’ forse il successo planetario dei film di Terry Gilliam, l’infiltrato americano, vero genio visuale, a spingere l’idea di portare in sala i film inediti. Nel 1991, a Pasqua pensate, esce così “Brian di Nazareth”e, nel 1992, “E’ ora qualcosa di completamente diverso”: doppiaggi ineccepibili, loro che sono così bravi in originali, in multi ruoli come erano abituati a fare in tv, per quanto in “Brian”era stato fatto l’errore di doppiare Ponzio Pilato con un timbro effeminato, quando Michael Palin in originale faceva ridere perché semplicemente parlava male! Alla fine abbiamo rimpianto anche questo, perché quando sono usciti i DVD, vengono ridoppiati questo e “Il senso della vita”, grande errore che ha suscitato il polverone di proteste. Rimangono però le ottime edizioni zeppe di extra, rimangono le testimonianze di un periodo folle, violento, schietto e irriverente oggi davvero irrepetibile.

lunedì 12 dicembre 2011

Giorno di Trasloco

Se avessi saputo un giorno che splinder mi avrebbe giocato questo scherzo, col cavolo che avrei continuato a scrivere lì sopra! Cosa accadrà nel gennaio 2012? Che tutti i blog di splinder saranno dimessi, cioè salteranno per aria chissà per quali motivi pubblicitari. E ora sto faticando veramente nell'importare ciò che ho scritto in questa piattaforma. Su blogspot avevo già provato una finestra sul mondo di Stanlio e Ollio, che chiusi dopo qualche mese essendo poco convinto dell'operazione. Raccontare i fatti miei, poi, non era un argomento che mi interessava più, così decisi sulla cinefilia scema e fu un colpo vincente. Impensabile eliminarlo per ricominciare da capo: quasi 30,000 visitatori dal 2006 non possono essere ignorati! Una cifra dopotutto anche bassa, ma pensiamo pure a quanti caspita di blog sono aperti nel mondo. Di satira o di giornalismo ce ne saranno a centinania, sul cinema neanche a parlarne. E' alla ricerca di qualcosa di originale che mi spingerà a rendere questo sito interessante e, spero davvero, divertente per chi legge, in quei cinque minuti di disattenzione dell'utente medio, in attesa che pornhub torni online.